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10 cocktail meno noti da provare al posto del solito Spritz

Di Domenico Raimondo

Spesso l’indecisione o l’abitudine ci portano a ordinare sempre i soliti drink. Quelli più conosciuti.
Ricordo la faccia dubbiosa di un amico quando mi vide tornare dal bancone con due bicchieri di London Mule. Poi, bevendo, ammise: “È entrato a gamba tesa tra i miei drink preferiti”.

Ecco quindi 10 tra i migliori cocktail meno conosciuti, da provare se siete in cerca di un’alternativa o di una nuova fiamma (con buona pace dei veneti e del loro amato Spritz). Sono drink relativamente facili da preparare e con ingredienti reperibili in qualsiasi bar.
Ce n’è per tutti i gusti: amate il gin? Resistete all’automatismo di ordinare un Gin and Tonic o Gin Lemon e provate il summenzionato London Mule, il Gin Fizz o il White Lady. Whiskey? Bourbon e scotch fanno da base alcolica al Godfather e al Mint Julep.
Poi c’è il rum, che regala drink d’atmosfera tropicale come il Mai Tai, il Dark ‘n’ Stormy e l’Hemingway Special. La tequila si unisce all’aspro di lime e pompelmo per creare il Paloma, mentre c’è il Kir royal per chi cerca la raffinatezza di Prosecco e créme de cassis.

Le ricette riportate sono prese dalla lista ufficiale IBA

London Mule

  • 1 oz succo di lime
  • 1 ½ oz di gin
  • Ginger beer a riempire
  • Guarnizione: fetta di lime

Partiamo dalla rivisitazione di un classico: il Moscow Mule. Questa variante anglofona prevede il gin al posto della vodka, mentre rimane la presenza di lime e ginger beer.

Anche chiamato Gin Gin Mule, questo drink è l’ideale per una sfilza di motivi – oltre alla bontà. È un cocktail dissetante, grazie soprattutto alla ginger beer: frizzante e pungente al punto giusto, a cui si accoda il lime usato anche in guarnizione.
La bevanda a base di zenzero non copre l’aroma del gin, ma anzi ne esalta le botaniche e attenua il sapore d’alcol.

Un altro motivo per cui questo cocktail è consigliato è la sua facilissima reperibilità, visti i pochi e comuni ingredienti. E non solo: lo si può chiedere al bartender più competente così come al meno esperto, dato che la preparazione è impossibile da sbagliare, perché anche senza le giuste dosi non sarà mai troppo sbilanciato, e al massimo saprà un po’ più di ginger beer o di gin – che se ordinate questo cocktail si presuppone vi piacciano entrambi.

Per l’invenzione di questo cocktail, risalente ai primi anni ’90, dobbiamo ringraziare Audrey Saunders, una delle bartender più famose al mondo inventrice anche dell’Old Cuban.

Come il Moscow Mule, anche la variante a base di gin va tradizionalmente servita nella tazza di rame che prende il nome dal cocktail. Questo perché il rame, oltre a sprigionare gli esuberanti sentori del lime, si raffredda in brevissimo tempo a contatto col ghiaccio, mantenendo freddo il drink. Tuttavia la maggior parte dei locali utilizza i classici bicchieri di vetro (o finto rame) dal momento che il rame è considerato nocivo a contatto con liquidi dalla elevata acidità.

Gin Fizz

  • 1 ½ oz gin
  • ¾ oz succo di lime
  • ½ oz sciroppo di zucchero
  • Soda a riempire
  • Guarnizione: fetta di limone

Si tratta, in sostanza, di una variante del Gin and Tonic, cocktail che si racconta sia un’invenzione della marina britannica del 18′ secolo, come espediente per prevenire lo scorbuto che assoggettava i marinai durante la navigazione, in assenza di prodotti freschi come gli agrumi fonte di vitamina C (che uniti all’alcol riuscivano a conservare). È la soda, a sostituzione dell’acqua tonica, l’elemento discriminate di questo cocktail dall’”originale”.

È da servire ufficialmente nel bicchiere tumbler – sebbene non è raro l’uso dell’highball come per il Gin and Tonic.
Oggi di certo non è più (solo?) il presunto potere benefico l’attrattiva di questo drink. Fresco e frizzante – come suggerisce il nome – è adatto anche alla miscelazione con gin di buona qualità e dalla complessità di sentori, ma in questo caso sarebbe meglio chiederlo a parte per poterlo assaggiare anche liscio. Questo in virtù della soda che ne rende più piacevole e accattivante il sapore senza comprometterlo.

White Lady

  • 1 ½ oz gin
  • ½ oz triple sec
  • ½ oz succo di lime
  • Guarnizione: fetta di lime o limone

Rimaniamo sulla base alcolica del gin, con un cocktail fresco e delicato, che grazie anche al suo colore bianco brillante dà l’impressione di bere una nuvola shakerata.

In equilibrio tra dolcezza e acidità, la storia più accreditata circa la sua invenzione giustifica la sua eleganza con la città natale: la Parigi d’inizio secolo scorso. Nei decenni il cocktail è stato oggetto di perfezionamenti e variazioni, che riguardano il dosaggio (quello attuale risale agli ultimi 20 anni) e gli ingredienti, come il famoso Pink Lady il cui colore rosa è dato dall’aggiunta di granatina.

È da servire nell’iconica coppa Martini, priva del ghiaccio utilizzato durante la miscelazione.

Godfather

Godfather cocktail
  • 1 oz scotch whisky
  • 1 oz liquore di amaretto

Immaginate l’improvviso silenzio che cala quando al bancone ordinate un drink con questo nome, e una musica old jazz inizia a diffondersi. Sorseggiando questo drink è facile immaginarsi in completo gessato durante una partita clandestina a poker, magari con un sigaro a completare il quadretto.

È una miscela robusta e avvolgente di whisky e amaretto (di Saronno, ma non necessariamente), dal colore ambrato e il sapore deciso, seducente.
Magari non sarà presente nella lista cocktail del bar sotto casa, ma in virtù dei pochi ingredienti e della facilità di preparazione lo si può chiedere ovunque.

È un drink equilibrato, con le note secche del whisky ammorbidite da quelle dell’amaretto che celano una gradazione alcolica ragguardevole (30 gradi).

Ci si dà presto un’aria di autorità con questo bicchiere (il rock) in mano, alle volte guarnito da una scorza d’arancia, che accompagna e spezza il sapore di scotch e amaretto.
La sua variante principale è il Godmother, con la vodka a sostituzione del whisky.

Mint Julep

  • 1 zolletta di zucchero bianco
  • 2 dash di angostura (ovvero qualche goccia)
  • 10 foglie di menta
  • 1 ½ bourbon
  • 1 spruzzata di soda
  • Guarnizione: menta, frutti rossi, zucchero a velo

Niente Old Fashioned o Manhattan: il vero drink per gli amanti del whisky è il Mint Julep. La lista IBA prevede l’utilizzo del bourbon (originario del Kentucky) a richiamo del sud degli Stati Uniti suo luogo natale. Tuttavia, nella prima attestazione del cocktail, nel libro del 1803 dell’esploratore anglo-australiano John Davis, non è specificato il tipo di whisky da utilizzare.
Se fatto a dovere, la menta e l’angostura (bevanda amarognola a base di erbe e spezie) accompagnano il bourbon che però riesce comunque a regalare tutti i suoi sentori nel dettaglio. Per questo motivo si può utilizzare anche un whisky di buona qualità – ma fino a un certo punto, oltre il quale il whisky va bevuto rigorosamente liscio.
Va servito con ghiaccio tritato nel bicchiere Julep, una tazza in metallo il cui nome, oltre a derivare dal cocktail, significa “acqua di rose” dal persiano gulab. Oggi nella categoria di “Julep” rientrano i cocktail con menta fresca (come il Mojito), e il termine dal persiano risale alla vecchia usanza degli abitanti della Virginia di bere un liquore con questo nome al mattino, in quanto considerato medicinale.

Le varianti del Mint Julep riguardano principalmente gli ingredienti. Ad esempio, per renderlo più dolce, alcuni bartender utilizzano il brandy o aromi alla pesca.

Dark ‘n’ Stormy

  • 1 ½ oz rum scuro
  • Ginger beer a riempire
  • Guarnizione: fetta di lime

Tutti a bordo, le riserve di rum non si finiscono certo da sole.
Rum scuro e ginger beer in questo cocktail creano una tempesta perfetta di contrasti avvolgenti. Il pizzicore dello zenzero si unisce alla rotondità del rum, che all’interno di questo cocktail essenziale ha tutto lo spazio di rilasciare la sua complessità.
Oltre all’utilizzo del bicchiere Juice,la lista IBA vuole l’utilizzo del rum giamaicano Myers’s nella ricetta, ma essendo un drink (e un rum) relativamente poco comune, è probabile che nel bar di fiducia lo facciano col rum di linea come Havana, Pampero e Bacardi. Ma, ancora una volta, vista la presenza di soli due ingredienti, non è peccato chiederlo con un rum pregiato.

Si tratta dell’unico cocktail a marchio registrato. Questo perché, sebbene sia nella lista IBA solo dal 2011, l’azienda delle Bermuda Gosling Brothers Ltd ne ha rivendicato l’invenzione (risalente alla prima guerra mondiale) registrandone il brevetto nel 1991.

Mai Tai

Mai tai cocktail
  • 1 oz rum chiaro
  • 1 oz rum scuro
  • ½ oz bitter orange
  • ½ oz succo di lime fresco
  • ½ oz sciroppo d’orzata
  • Guarnizione: ciliegia, fetta d’ananas, foglie di menta

Questo è un drink famoso ma relativamente sottovalutato, soprattutto visto il suo potenziale per chi non ama sentire l’alcol nel proprio cocktail.
Ma chiariamolo subito: i suoi 28 gradi non sono proprio “pochi”, però il suo sapore fruttato fa dimenticare di essere tra le caliginose vie cittadine e ci trasporta su una spiaggia di sabbia bianca e acqua cristallina (l’effetto è amplificato dopo 2/3 bicchieri, n.d.r.).
Sebbene si dice sia nato in California, il drink è un sinonimo di Polinesia, tanto che il suo nome (Maita’i in tahitiano) significa “buono”. Suggestivo, no?
Spesso viene servito nel bicchiere Rock o Old Fashioned, ma la tradizione vorrebbe la Tiki mug, in linea con l’attrattiva che l’arte polinesiana (l’arte tiki, appunto) impazzava tra i bar americani a metà del secolo scorso.

Importantissimo in questo cocktail è il fattore estetico dato dalla guarnizione: senza sarebbe come la versione di Summer Paradise dei Simple Plan senza la parte di Sean Paul.

Hemingway Special

  • 1 ½ oz rum chiaro
  • ½ oz maraschino
  • 1 oz succo di pompelmo
  • ½ oz succo di lime fresco

A volte non è tanto il sapore, quanto il tono che ci dà un cocktail a farcelo apprezzare (non fate quelle facce contrariate e pensateci).
Citare Hemingway dà sempre alla conversazione una nota intellettuale ma senza rinunciare a un tocco pop, come questo drink. D’altronde, come scrisse lui stesso: “Sapete cos’è un classico, vero? Un libro che tutti citano e nessuno legge”.
Aspro come le marasche (le ciliegie con cui si fa il maraschino), il lime e il pompelmo; leggero e non troppo dolce come il rum bianco (di Cuba, dove lo scrittore lavorò a diverse sue opere). Questo cocktail richiama lo stile dello scrittore che, s’immagina, ne sarebbe contento visto che è una variante del suo amato Daiquiri.
L’Hemingway Special è da servire nella coppetta. Guarnizione? Nessuna: un cocktail essenziale come il suo stile narrativo, ma che rivela tutta la sua complessità a un occhio (palato) più attento.

Kir Royal

Kir royal cocktail
  • ¼ oz créme de cassis
  • Prosecco a riempire
  • Guarnizione: amarena sciroppata

Quando un cocktail è da servire nel flute si annusa subito un’aura di eleganza e raffinatezza, magari altezzosa, ma è proprio questo il bello.

D’altronde questo è un cocktail prevalentemente da aperitivo, col prosecco e il liquore al ribes (cassis – ribes nero in francese) a renderlo fresco e delicato, frizzante e acido al punto giusto.
Naturalmente non è raro trovarlo con lo spumante o champagne al posto del prosecco, in fondo il Kir Royal altro non è che la variante del Kir, che invece prevede vino bianco secco fermo.

Paloma

  • 1 ½ oz tequila
  • 1 oz succo di pompelmo
  • ½ oz succo di lime
  • Soda a riempire

Il Paloma è un cocktail di contrasti, di ingredienti dai sapori forti che però si bilanciano a vicenda diventando gradevolmente indissolubili. I sentori avvolgenti e dolci della tequila abbracciano lime e pompelmo che danno note di acidità, a cui si aggiunge la soda ad ammorbidire.

La guarnizione prevede solitamente una fetta di pompelmo, spesso però sostituito dal lime. Il sale sul bordo del bicchiere è facoltativo: sale e lime (o limone) vengono usati per inibire le papille gustative e far sentire meno il sapore dell’alcol – e tradizionalmente per tenere lontani gli insetti. È consigliabile metterlo solo da un lato del bicchiere così da poter assaggiare il cocktail in entrambe le “versioni”.

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