Di Domenico Raimondo
Il 9 febbraio negli Stati Uniti si festeggia la Giornata Americana della Pizza. Un prodotto che a tanti italiani può far storcere il naso – e in tanti casi ne hanno motivo. Ma quella di Pizza e Stati Uniti d’America è una storia d’amore ormai indissolubile iniziata con gli immigrati italiani, per lo più napoletani e siciliani, che portarono le loro ricette oltreoceano prima che venissero rielaborate secondo il gusto locale. Basti pensare che oggi gli Stati Uniti sono la prima nazione per consumo di pizza (circa 13 kg a testa all’anno).
Famosa è quella di New York, la diretta discendente di quella napoletana, coi suoi tranci entrati nell’immaginario comune dal grande e piccolo schermo.
Ma esistono decine e decine di varianti locali, nate nel corso del 20° secolo nelle diverse città d’America, che hanno fatto propria la ricetta e creato pizze più o meno simili a quella che conosciamo in Italia.
Per celebrare l’American Pizza Day, un viaggio tra storia, cultura e cucina con protagonista l’alimento più famoso al mondo.
P.S: Se volete festeggiare con una pizza, assicuratevi di abbinarci la giusta birra!
INDICE:
– New York-style
– Chicago-style
– California-style
– Detroit-style
– St. Louis-style
– Greek pizza
– New Haven-style
– Quad City-style
– Ohio Valley-style
– Minneapolis-style
– Dayton-style
– Colorado-style
– Note e menzioni onorevoli
New York-style
È la pizza americana per eccellenza, non solo nell’immaginario comune ma in buona parte delle tavole degli Stati Uniti. Catene come Domino’s, Papa John’s e Dio ci salvi da quante altre ancora vendono una pizza definibile newyorkese.
L’antonomasia non sorprende: la pizza in America è sbarcata proprio a New York da immigrati napoletani/italiani verso fine ‘800 inizio ‘900.
La storia canonica vuole Gennaro Lombardi come il primo a vendere pizza a New York col suo locale “Lombardi’s” aperto nel 1905. Ma il vero pioniere si racconta fosse il pizzaiolo da lui impiegato, Antonio Totonno Pero, che ha poi aperto il suo ristorante a Coney Island (Totonno’s) tuttora gestito dalla famiglia.
Solitamente viene stesa a mano, è sottile e cotta in forni a legna, brace o elettrici. È rotonda e la farcitura “base” prevede salsa di pomodoro e mozzarella disidratata, che a seconda dei locali può essere grattugiata o a fette (talvolta poste direttamente sull’impasto per poi spalmarci sopra la salsa).
La cottura è più lunga rispetto a quella napoletana, così da rendere la mozzarella bruciacchiata e gommosa, e l’impasto relativamente poco flessibile con la base leggermente croccante.
Quasi sempre è tagliata a spicchi triangolari, che ne hanno in parte determinato la fortuna in terra americana. I tranci di pizza New York-style sono infatti famosi e apprezzati, specie quelli di grandi dimensioni (jumbo slice). Questo, anche, perché la pizza americana è vista come qualcosa da condividere a feste e pasti in compagnia, dove una pizza sfama più persone. Pare che l’origine del mito della pizza by the slice sia dovuto ai clienti che, agli albori delle pizzerie a New York, non potevano permettersene una intera e davano ciò che avevano in cambio di una fetta.
Oggi molti ristoranti e catene propongono un menù con pizze di diverse dimensioni, selezionabili a seconda di quante persone siano a mangiarla. La “personal pizza” ha solitamente un diametro di 8/9 pollici; 12/13 pollici è l’equivalente della dimensione di una pizza italiana media, mentre quelle da condividere vanno dai 16 pollici in su.
Chicago-style
Un altro classico. Forse meno famoso nel mondo, ma che in patria è protagonista dell’eterna sfida con New York su chi abbia la pizza migliore.
Ma la contesa ha luogo anche nella stessa città di Chicago, dal momento che sono (almeno) due ristoranti a rivendicare la ricetta di questa pizza dalla forma insolita: Pizzeria Uno nel 1943 e Rosati’s Pizza nel 1926.
La pizza di Chicago spicca per una ricetta che differisce ampiamente dalle altre, tanto che si avvicina più a una torta salata.
L’impasto, steso a mano o al mattarello, viene fatto aderire ai bordi di una profonda teglia circolare (motivo per cui è anche detta deep dish), per poi essere riempito di abbondante mozzarella. Salsiccia e altri ingredienti possono comporre la ricetta, e in questo caso si parla di stuffed pizza (pizza ripiena): inventata negli anni ’70 e più alta e farcita rispetto alla classica.
Non è raro trovare un altro strato di impasto a fare da coperchio, e a sovrastare tutto c’è la salsa di pomodoro, formaggio grattugiato ed erbe.
Dopo una cottura relativamente lenta, viene estratta dalla teglia mostrando la sua forma di torta, con i bordi alti come mura circondarie a difendere la ricca farcitura all’interno.
Viene mangiata a fette triangolari, con forchetta e coltello. L’impasto, fatto con burro e – spesso – farina di mais in aggiunta degli ingredienti classici, è biscottato. Il profumo di pomodoro e origano annunciano un interno fatto di mozzarella filante.
Molto famosa in America, è rarissimo trovarla nel resto del mondo. Soprattutto in Italia, sebbene Hamerica’s l’abbia proposta per un periodo limitato ottenendo una buona risposta da pubblico e critica culinaria.
California-style
Poteva la California esimersi dall’avere voce in capitolo su qualcosa, qualsiasi cosa? No, neanche sulla pizza, evidentemente. Dopotutto lo Stato sulla costa ovest è dimora di uno dei più famosi e talentuosi pizzaioli americani e del mondo (Tony Gemignani).
Nata nel 1980, in sostanza si tratta di una variante della pizza di New York. Sottile, circolare, più piccola rispetto alla sorella della Grande Mela. A differire maggiormente è la farcitura: non è raro trovare ingredienti insoliti su una pizza; ananas? No… parliamo di avocado, pollo, carote, salsa barbecue e altre speziate di stampo asiatico. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma c’è da considerare che è un piatto (o almeno di una versione di esso) che ha ragione di esistere nel luogo in cui è nato, popolato da gente di tutto il mondo con abitudini/gusti diversi da quello italiano. Inoltre, gran parte dei ristoranti che sfornano pizze californiane sono gestiti da abili e rinomati chef, che sanno il fatto loro più di chi si lamenta dell’ananas mentre ordina una pizza kebab.
L’invenzione della pizza California-style è attribuita ad Alice Waters, proprietaria del ristorante Chez Panisse di Berkeley, e allo chef-pizzaiolo Ed LaDou. Questi nello stesso periodo iniziarono a sperimentare pizze con prodotti esotici nei rispettivi locali. La successiva popolarità del piatto è ampiamente dovuta al contributo dello chef Wolfgang Puck.
Detroit-style
Un altro caposaldo dell’Olimpo americano, proposta anche da alcune pizzerie in Europa. Una pizza (e una città) che nonostante la discreta fama sbraccia e arranca per non essere eclissata da New York e Chicago.
Parliamo di una pizza rettangolare, simile alle pizze-focaccia dei panifici italiani. Viene cotta in una teglia in metallo dai bordi alti, che a contatto con la crosta e col formaggio dà un risultato che va dalla reazione di Maillard al bruciacchiato/caramellato.
L’interno è, però, soffice, grazie all’alta idratazione che offre un impasto alveolato, all’olio e all’abbondante salsa di pomodoro e formaggio. In certi casi viene usata la mozzarella; in molti altri il brick cheese del Wisconsin, un formaggio duro che può essere delicato o pungente a seconda della stagionatura. A questi spesso vengono aggiunti i cosiddetti pepperoni – salame piccante – ed erbe come origano e basilico.
La sua invenzione è collocata nel 1946 al ristorante Buddy’s Rendezvous.
St. Louis-style
La pizza di St. Louis si distingue per un impasto sottilissimo, realizzato senza lievito e dalla consistenza simile ai cracker.
L’abbondante farcitura prevede una salsa di pomodoro ricca di origano, mentre il formaggio tipicamente utilizzato è il Provel – che sostituisce la mozzarella e ricorda cheddar e provolone.
Il taglio a quadratini, anziché a spicchi, comune ad altri stili di pizza americana, rappresenterebbe il modo migliore per far sì che un impasto tanto sottile non ceda sotto al peso della farcitura.
Greek pizza
Popolare nella costa est, specialmente nel New England e in alcune zone dello Stato di New York, la cosiddetta pizza greca deve il suo nome all’inventore: il pizzaiolo greco Costas Kitsatis. Dalla creazione nel 1955, nella sua pizzeria di New London, Connecticut, derivò una generazione di pizzaioli greci che negli anni ’80 rappresentava circa il 40% dei pizzaioli del Connecticut.
La Greek pizza si distingue soprattutto per la modalità di cottura. I panetti vengono stesi prima del servizio in teglie circolari e poco profonde, così da averli pronti da cuocere al momento dell’ordinazione. Nonostante il vantaggio a livello di tempistiche, la tecnica rischia di far seccare l’impasto, e questa è una delle ragioni per cui è difficile trovare una buona pizza greca anche nel cuore del Connecticut. Se fatta a dovere, però, l’impasto risulta soffice, col fondo croccante e dorato, il bordo ben lievitato e la consistenza che ricorda una focaccia. Questo anche grazie all’olio con cui le teglie vengono cosparse prima di accogliere l’impasto: fa sì che non si attacchi e regala sapore, colore e croccantezza.
New Haven-style
Rimaniamo in Connecticut, per una pizza molto simile a quella di New York. È infatti una pizza circolare, stesa a mano e cotta tradizionalmente nel forno a carbone. La consistenza è gommosa ma l’impasto è solitamente più sottile e asciutto rispetto alla summenzionata, e raramente viene venduta a tranci.
Nota alla gente di New Haven come apizza (derivato da, indovinate un po’, il napoletano ‘na pizza), si distingue soprattutto per la farcitura. La versione classica prevede infatti solo salsa di pomodoro, origano e una spolverata di pecorino grattugiato, con la mozzarella come opzione aggiuntiva.
Una sua variante è la New Haven-style white clam pizza, bianca e con le vongole.
Come la pizza napoletana, viene cotta ad altissima temperatura (350/400°) ma per un tempo maggiore che rende la crosta e il formaggio bruciacchiati.
La sua invenzione risale al 1925 nel ristorante Frank Pepe Pizzeria Napoletana.
Quad City-style
Originaria della regione delle Quad cities, tra Iowa e Illinois, questa pizza rotonda si distingue soprattutto per l’impasto, che tra gli ingredienti prevede malto e spezie per un sapore più ricco e pungente.
Anche la salsa è arricchita da peperoncino disidratato, e altri eventuali ingredienti – salsiccia tra tutti – sono messi tra salsa e formaggio.
Viene tagliata a strisce, con un taglio lungo la metà e gli altri in orizzontale.
L’invenzione è attribuita a Tony Maniscalco Sr. (nome che più italo-americano non si può), un macellaio di origini siciliane che per primo portò la pizza nella regione nei primi anni ’50.
Ohio Valley-style
Pizza quadrata, soffice e col fondo croccante, è una pizza tipica dell’Ohio e del West Virginia. Per aspetto, consistenza e sapore ricorda la pizza di Detroit e in generale le pizze e focacce cotte in teglia.
A spiccare è però la farcitura. In primis viene cosparsa di salsa di pomodoro tipica dell’Ohio, più dolce rispetto alla classica e realizzata con pomodoro, olio, peperoni verdi e origano. A metà cottura viene tolta dal forno per aggiungervi altra salsa e una spolverata di formaggio. Solo a fine cottura vengono aggiunti ingredienti come provolone grattugiato e salame piccante. In questo modo rimangono crudi al momento del consumo.
Fu Primo DiCarlo a realizzare la ricetta per primo (ahah), aprendo il suo ristorante Original Di Carlo’s Famous Pizza Shop nel 1945 al ritorno dalla Seconda Guerra Mondiale. Qui aveva avuto modo di provare la pizza in Italia, per poi rielaborarla insieme ai genitori, immigrati italiani e cofondatori del ristorante.
Minneapolis-style
Conosciuta anche come Minnesota-Style, è una pizza sottile ma morbida, rotonda e tagliata in quadrati precisi.
Il bordo è alto quanto il resto della pizza. La salsa, che varia da ricetta a ricetta, generalmente offre un contrasto tra la dolcezza del pomodoro e il piccante delle spezie. La cottura è relativamente lunga e viene coperta di abbondante formaggio, che può essere mozzarella, cheddar e Parmigiano o simili.
La catena Red Savoy si dice ne abbia dato i natali negli anni ’60, nello stesso periodo in cui altre pizzerie del luogo proponevano versioni simili. Nel tempo queste avrebbero formato un’unica variante chiamata, appunto, Minnesota-style. Il nome fu coniato proprio da Red Savoy, principale promotrice di questo stile di pizza e custode della ricetta della salsa segreta.
Dayton-style
Simile a quella di St. Louis (ma migliore, secondo l’autrice Polly Campbell del Cincinnati Enquirer), la pizza stile Dayton si distingue per l’impasto sottile e biscottato, steso nella farina di mais e con pochissima salsa, intensa e senza zucchero. Come altre pizze della regione è tagliata a quadrati; formaggio e farcitura sono abbondanti e distribuiti anche sulla crosta.
Il primo ristorante a portare la pizza a Dayton fu Cassano’s Pizza King, catena il cui primo locale risale al 1953. In seguito Marion Glass, ex direttore di un punto vendita Cassano’s, aprì Marion’s Piazza, che sarebbe diventata la catena di maggior successo.
Questo grazie alla disputa legale che coinvolse Cassano e Ron Holp, un altro ex direttore di Cassano’s accusato di aver copiato la ricetta nella sua nuova pizzeria. Con la causa conclusa a favore di Holp, Marion Glass lo convinse a condividere la ricetta con lui così che potesse aprire il proprio locale. Il tutto contribuendo alla popolarità del prodotto.
Colorado-style
A saltare subito all’occhio, nella Colorado-style pizza, è il cornicione spesso e intrecciato. La cottura è relativamente breve. L’impasto è più dolce di tante altre pizze in virtù del miele usato nella preparazione. Il miele viene spesso servito anche come contorno in cui intingere la pizza, in linea con l’abitudine americana (e del resto del mondo) di pucciare le fette in una salsa come ketchup, barbecue o maionese all’aglio.
Oltre al fattore estetico, la forma e l’altezza del bordo sono utili a contenere l’abbondante farcitura, tra cui salsa, mozzarella e altri ingredienti a scelta. Questo porta diversi ristoranti a vendere la propria pizza al peso.
La pizza Colorado-style nacque nel 1973 per mano di Chip Bair, dopo esser diventato proprietario della pizzeria Beau Jo’s di Idaho Springs. Oggi Beau Jo’s è una catena molto nota a livello regionale.
Note e menzioni onorevoli
La pizza di New York, essendo la più nota e influente negli Stati Uniti, ha dato origine a diverse varianti apprezzate nei territori limitrofi, come quella del New Jersey, del Maryland e quelle menzionate del Connecticut.
Un’altra versione molto popolare è la Sicilian pizza, simile allo sfincione siciliano e quindi spessa, soffice e rettangolare. Pizze derivate o simili sono quella di Detroit, la Grandma’s pizza e la Altoona-style.